RACCONTO [001]- NOLI ME TANGERE - DI RICCARDO CADELLICCHIO

Noli me tangere
di Riccardo Cardellicchio

Galileo era stupito. Il suo amico Lodovico se n’era andato. Aveva lasciato Firenze senza dir parola. Allora, gli aveva scritto, ma da giorni attendeva una risposta che non arrivava. Aveva scritto all’indirizzo della sua famiglia, nel castello di Cigoli, pensando che fosse cosa giusta.
Era preoccupato. Negli ultimi giorni l’aveva visto pallido e stranito. Gli aveva parlato, ma ricavandone l’impressione che pensasse ad altro. Non riteneva che avesse abbandonato la sua arte, sapendo quanto ne fosse innamorato, voglioso di mettersi in luce, bagaglio prezioso gli insegnamenti ricevuti, ma deciso a trovare la sua strada. Aveva potuto ammirarne il talento. Il suo disegno lo attirava maggiormente. Nel disegno, quella sua precisione, quasi maniacale, lo faceva essere, per lui, uno dei migliori. Erano amici da sempre, in pratica. Lodovico aveva la capacità intellettuale di starlo ad ascoltare, di non scandalizzarsi alle sue teorie. Che gli buttava addosso, fiume in piena, in passeggiate lunghe ore per le vie di Firenze. Gli invidiava la sua formazione culturale, iniziata a Empoli, da un prete “molto letterato”, Bastiano Morellone, e poi proseguita a Firenze, in “lettere umane”. La sua famiglia, gente nobile e benestante, non gli voleva far mancare alcunché. Non è che si sentisse inferiore. No, perdinci, questo no. Però Lodovico aveva la capacità di far sembrare tutto semplice. Sì, anche le cose più astruse. Forse era dovuto al suo linguaggio. Preciso, senza essere ampolloso.
Ci pensò su un paio d’ore. Poi prese la decisione: andava a Cigoli. In mezza giornata, neanche, ci sarebbe arrivato. E così fece, di prima mattina, dopo aver sellato un bel cavallo, prestatogli con mille raccomandazioni. Stucchevoli. Non c’erano nuvole minacciose in cielo. L’aria era fresca. Gli piaceva, e sembrava andare a genio anche al cavallo, che si mostrò subito vivace. Superò Capraia e Montelupo. Poi, nei pressi di Empoli, rallentò. Era un bel vedere quella campagna, che si stava risvegliando ai primi segni della primavera. Poi, alla sua sinistra, vide la Rocca di San Miniato al Tedesco. E, alla sua destra, il castello di Fucecchio. Più avanti, in lontananza, oltre l’Arno, Santa Maria a Monte, che gli provocò un’emozione. Infine, Cigoli, con il palazzo dei Cardi in bella mostra. Nella salita, il cavallo mostrò un cedimento. Aveva preteso troppo da lui. Ma ormai erano gli ultimi metri. Dopo avrebbe avuto di che riposarsi.
Le formalità furono veloci. Nel giro di cinque minuti, si trovò in presenta di Giovan Battista Cardi e di sua moglie Ginevra de’ Mazzi.Giovan Battista, dopo averlo salutato, chiese: “A che dobbiamo la vostra visita, Galilei?”
“Lodovico. E’ partito da Firenze senza dir niente. Gli ho scritto, ma non mi ha risposto. Che gli è accaduto?”
Questa volta parlò Ginevra, il volto con i segni di una bellezza antica: “Non sono bei giorni, questi, per Lodovico”.
“Che ha?”
“Non sta bene”.
“E’ malato”.
Ginevra fece di sì con la testa. Poi aggiunse: “Considerata la vostra amicizia, è bene che sia lui a dirvelo”.
Lo fecero accomodare in uno studio ordinato, come non aveva visto da nessun altro artista. Lodovico era in piedi, davanti a una tavola di dimensioni medie e stava dipingendo Gesù e Maria di Magdala.
Si salutarono con calore, i due. Galileo più dell’amico. Il quale era smagrito, pallido e mesto, più del solito.
“Perché sei partito…”.
Lodovico lo interruppe. “Non m’andava d’essere compatito”.
“Anche da me?”
“Soprattutto da te”.
“Ma che hai?”
“Il mal caduco”.
“Il mal caduco?” Non era una bella cosa, e Galileo fu preso dallo scoramento. “Così, tutt’un colpo?”
“Era da tempo che non mi sentivo bene. L’aria malsana, respirata davanti a quei cadaveri per sezionarli, studiarli… dicono che sia la causa”.
“Non me ne hai mai parlato”.
“Non ne vado orgoglioso. D’altra parte, se vuoi dipingere gli esseri umani, senza commettere errori, bisogna che tu sappia come sono fatti. Non trascurando i particolari. Cosa fai te con il cielo?”
“Che ti hanno detto? guarirai?”
“Ci spero”.
“Cosa stai dipingendo?”
“Una tavola, soggetto sacro, destinato a San Miniato al Tedesco. Ho intenzione d’intitolarlo ‘Noli me tangere’. Mi riferisco a quel dice Gesù, dopo la Risurrezione, a Maria di Magdala. E’ raccontato nel Vangelo di Giovanni”.
I due amici rimasero a parlare a lungo. Arrivarono a ricordare il tempo di quand’erano studenti. Anni che avevano cementato la loro amicizia.
Galileo se ne andò il giorno dopo, di mattina presto. Disse, una volta a cavallo: “Lodovico, t’aspetto a Firenze”.
Passarono quattro anni prima che Lodovico abbandonasse il castello di Cigoli e riprendesse a lavorare a Firenze, nella bottega del Buontalenti. Il primo incarico fu di completare, nella chiesa di San Giuseppe, un “ San Francesco di Paola”, opere lasciata a mezzo da un certo Crocino.